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non sapessi nè dove nè come. Io non ero tal possidente da vivere di sola, rendita; nè speravo più rendite dagli studi, a cui avevo rinunciato per sempre.

Eugenia riprese:

— Non parliamo di partenza adesso; ve ne prego anche per Claudio. Per Claudio? — aggiunse sorridendo. — E Mino? E Ortensia?

Allora io le dissi: — Sapete che mi par d’avere una sorella in Ortensia?

— Fosse davvero! Anzi; trattatela proprio da sorella; correggetela de’ suoi difetti.

— Sono così bei difetti!

— No, Sivori. Ortensia mi dà molto pensiero per il suo carattere. È eccessiva in tutto. A vederla, sembra sicura, sicurissima di esser felice per tutta la vita e si direbbe che non si preoccupi di nulla, ma poi, di tratto in tratto, senza che se ne sappia il perchè’, ha certe malinconie...; i famosi capricci. Ve ne sarete accorto anche voi, benchè da poi che siete qui voi questo sia accaduto più di rado. Ma vi ricorderete delle bizze che faceva da bambina a contrariarla. Adesso per lei è una contrarietà intollerabile ogni volta che s’accorge che la vita non possiam farcela noi a nostro modo. E a questo mondo bisogna invece sopportare, soffrire. Ci son tanti doveri da compiere!; e la nostra volontà non val nulla in quello che non dipende da noi. Vorrei vederla persuasa di queste cose, per risparmiarle dolori più grandi in avvenire. Ho torto?

— No — risposi.

— Per darvi un’idea del suo carattere: quando ero malata diceva con ira al medico: «Voglio che la mamma guarisca». Voglio! Il medico e la ma-