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lassù? Quale nobile impresa? Volli sorprenderli. M’inerpicai di traverso; mi celai a spiare tra una macchia.
Ma bravi! ma bene! Non ci mancava nessuno. Le signorine Marcella Moser e Anna Melvi diricciavano castagne a colpi di pietra e parlavano sommesse; di contro, Guido Learchi, già studente di medicina, zufolava interrompendosi per sgridare, quale direttore all’opera, e finiva di comporre un forno con mattoni e sassi. Gli servivano da manuali Ortensia Moser e Pieruccio Fulgosi, affaticati a raccogliere il combustibile.
— Là!
— Nella siepe!
— Sotto al noce!
Furettavano dappertutto e per poco non mi scovavano.
Pieruccio più svelto di tutti ammucchiava foglie e fronde, che Ortensia recava a bracciate.
Guido protestava:
— Legna grossa e secca! Con questa non si fan bracie!
— Ecco! A te! prendi!
— Che uomini! Un’ora per fare un po’ di fuoco! — gridava Ortensia.
E Learchi a bofonchiarla: — Meh! meh! meh!
Poi egli diede uno scapaccione a Pieruccio ordinando:
— Spicciati, tu! Altra legna! legna! dico legna!
Finchè annunciò: — Pronti! — e appiccò il fuoco. Un clamore d’applausi salutò, le prime volute di fumo.
— Forza! Siete in ordine?
— Sì, ma non le bracie!