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Io moveva quindi incontro ad un sogno che mi palpitava nel cuore, e, dopo averlo studiato in me stesso, lo voleva ammirare fuori di me, vero e grande come l’aveva sognato.

Curioso stato di cose che farà ridere qualcuno, ma farà riflettere qualche altro, il quale, cercando nel suo passato, e fors’anche limitandosi a ripensare il presente, si sarà trovato come me a perseguire un’idealità fiorita assimilando la parte migliore dell’essere, pure sapendo che questa idealità non si poteva trovare che nell’anima sua.

Ecco perchè, io, avendo i piedi nell’erba rugiadosa e il grande cappello bianco cacciato indietro per lasciar libera la fronte alla frizzante brezza del mattino, vedevo dinanzi a me, benché non fossi ancora arrivato il cadere giù a picco delle spumeggianti cascate, che, trovando un intoppo roccioso nel mezzo, si suddividevano con fracasso dapprima orrido, ma che diventato, poi famigliare, sembrava molto diverso.

Mi pareva in esso di sentire il piccolo murmure della polla, come quando nasce fra i sassi, sul monte e corre sotto la vedretta: la udivo raccontare il mistero dei ghiacci che si rompone degli arditi che si spingono su, infaticabilmente, e riposano alla sua melodica cadenza; di quelli che, disgraziati, commettono alla sua corrente l’ultimo grido disperato, perchè lo porti come un saluto, come un addio, a coloro che non vedranno più e che rimpiangono, che desiderano che sentono d’amare come non hanno mai amato perchè, nella caduta disastrosa, un lampo vividissimo fa loro conoscere tutta la vita.