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Il richiamo materiale ci ricordò la necessità di far colazione; la colazione a sua volta ci ricordò la vicinanza della caserma dei finanzieri, e questo doppio ricordo, trasformato da pensiero in azione, si portò giù nelle gambe e le mosse.

Fummo accolti dal giovane brigadiere d’Alatri con una cortesia ed una cordialità davvero grandissima. Ristorati completamente e accompagnati dal colto sott’ufficiale, ritornammo alle marmitte. Il dottore e il nuovo compagno vi entrarono incominciando a ripulirle con le mani, io corsi a pigliare un badile nella cava d’amianto vicina e il professor Besta rimase a consigliare, e, in certo qual modo a dirigere, la piccola squadra operante.

Così, in fondo, fra le macerie, si scoprirono i sassi che, presumibilmente, avevano, in epoche lontanissime, logorato la parete del masso e formata la conca. Essi si presentavano lisci, quasi tondi e noi, dopo averli puliti ed osservati, li rimettemmo nelle rispettive marmitte, dove avevano diritto a rimanere.

Poi il brigadiere ed il dottore, perchè il professor Besta l’aveva consigliato, liberarono i canali visibilissimi d’influsso e d’eflusso, e, seguendone uno di scarico, quello della prima marmitta scoperta, si trovarono un po’ impacciati a proseguire. Un mucchio enorme di sassi provenienti dalla cava, copriva il canaletto. Liberarlo era cosa impossibile, pure lo tentammo senza darci pensiero del sole, tergendoci il sudore col dosso della mano, e cacciando con súbiti schiaffi, giù