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tutta probabilità, sotto quei cavi si apriva la vera e propria grotta: però da quella parte era impossibile entrare.
Il professor Besta aveva quindi ragione! Si stava pensando al modo migliore di allargar l’apertura, o di praticarne un’altra in posizione più accessibile, quando ci raggiunse un montanaro, carico di un doppio sacco contenente laveggi.
Comprese subito di che cosa si trattava e ci aiutò validamente nel rimuovere un grosso gradino della strada, sotto il quale si credeva di trovare l’orificio che ci permettesse il passaggio; invece, levato quello e rimossone un altro, tolto il materiale terroso e parecchi sassi ancora, con non poca fatica, ci dovemmo convincere che la cavità era per il momento inaccessibile. Però ci formammo la convinzione d’essere sulla volta della grotta e ci impadronimmo di quattro o cinque esemplari di stalattiti, non bellissimi, ma tali da figurare in qualunque buona raccolta.
La missione poteva quindi considerarsi fallita, il professor Besta manifestava un certo dispiacere, perchè, data la natura del suolo, segnata pure sulla carta geologica del Taramelli con il color rosa che indica lo gneis, non poteva capacitarsi, logicamente, della presenza di un grande strato di calce, che, mediante il filtrare delle acque, avrebbe potuto dar origine ad una grotta così detta d’erosione.
Egli stesso ammise che forse la grotta, se c’era, aveva potuto essersi formata per frattura o litoclasi, come è scientificamente chiamata: fatto sta