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che suono di campanella. Pensò che Santino avesse lasciato le bestie nelle baite, a piedi del monte, sotto la guardia di Gennaro, per correre su, come aveva già fatto altre volte, arrivando prima di lei; provò l’impressione di vederselo piombare addosso e diede uno strillo, si ribellò; ma fu un attimo.
Il pittore la guardava e la teneva per un polso, senza stringerla troppo.
Ogni desiderio di ribellione si spense; le parve di essere invasa da una forza misteriosa, che la spingeva su verso le roccie; le parve che le comandasse una volontà, alla quale era impossibile opporsi; qualche cosa entrava in lei, facendo violenza al suo pensiero, alla sua volontà, distruggendoli.
Il pittore la guardava e la stringeva ancora; ella sentì come una stanchezza che le piegava le ginocchia.
“Capisci?” le disse il giovane, piano.
Un lampo illuminò ancora il paese. Egli la spinse sul culmine, corse giù, gridandole una raccomandazione, e si portò presso la tela.
Impressionare qualcosa?
Impossibile! Non c’era luce sufficiente; gli sarebbe sfuggita la linea per la bizzarria di riprodurre un particolare; egli volle invece stamparsi tutta la visione nell’anima e attese...
La sofferenza fu ancora più viva.
La sua forza di pensiero e di volontà, dovendo sdoppiarsi per vincere la modella e per tentare d’impadronirsi dell’azione complessa della figura