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squarciato le tenebre, illuminando con effetto maraviglioso e fantastico il disordine multiforme del cielo e gli aspetti bizzarri delle montagne, facendo più acute le vette, più neri gli abissi, donando alle roccie, sotto lo scroscio dell’acqua, una luce viscida, guizzante; nel lampo, i culmini ferrigni dove Marianna avrebbe dovuto invocare, si sarebbero materiati di fuoco, come un vulcano!
Il pittore sentiva la visione del suo quadro allargarsi, una concezione nuova, più vasta, più umana gli si formava nell’anima. Egli attendeva il lampo, ma il lampo era già passato nella sua coscienza d’artista, aveva già creato.
Sì! Quella donna invocante era tutta l’umanità che lotta, che soffre, che implora: dal suo vertice rossastro, quasi uscita allora dal fuoco delle passioni, ella si librava in mezzo ad altre tempeste, e, incapace di resistere, ripiegandosi sotto la raffica, pareva lì lì per cader nell’abisso. Grandioso! vero! lo sentiva: ma che sofferenza acuta, nell’attesa!
Il lampo folgorò.
“Ah!... così, così!” gridò il pittore in faccia all’orrida bellezza che gli si offerse. “Così!” E tutto il paesaggio fu suo.
Ma non bastava!
Egli corse, inciampando, verso la baita di Santino: era aperta...
“Marianna!?...”
A quel grido, a quell’apparizione improvvisa e stravolta la donna fece un salto indietro, ur-
G. Nolli. In Valmalenco — 5 |