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Era dunque proprio inutile martellarsi la testa per ottenere l’effetto voluto. Mancavano gli elementi del quadro lì dentro; quella donna, in cima al gruppo di roccie, con la faccia rivolta al cielo circondata da un azzurro intenso, avente le mani congiunte, come a pregare, gli parve fredda, morta.

Non c’era quello spasimo di invocazione, quel terrore per un pericolo imminente che pure egli aveva sentito, aveva cercato di rendere.

La posa gli parve accademica, falsa.

Cercò la spatola per terra e raschiò via tutta la figura, rabbiosamente; poi sedette fra i sassi, slacciò la camicia di flanella, immerse la mano fra pelle e lana, ne tolse la pipa e l’astuccio del tabacco, la caricò, l’accese, e, ripiegatosi indietro, con le mani sotto la testa, rimase supino a guardare il cielo che si copriva di nubi, a fumare ed a sognare.

Ben altri erano i suoi intendimenti; con quanto ardore aveva incominciato a lavorare e come l’invocazione di quella donna, sola, sperduta sul cucuzzolo del monte, quasi naufragante nell’infinito, era stata compresa in tutta la sua angoscia da lui! Quale disperato dolore avevano avuto nell’anima sua quei lineamenti! Quante lagrime gli occhi, e quale contrazione di singhiozzi il petto, la gola, la bocca, e che parossismo i capelli arruffati e le braccia protese nel vuoto!

Il fantasma artistico, abbozzato sulla tela, non era riuscito che una caricatura di quanto aveva sognato.