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dopo di esse, invece, passano le acque dei fiumi d’Inghilterra, d’America, di quasi tutto il globo, che raccontano le glorie dei loro popoli: il mare sa tutta la storia del mondo e la canta.

Così i due morti comprendono che la civiltà, passata dall’Asia all’Europa, dall’Europa all’America, come chiamata da una nostalgia indefinita, vorrebbe correre


                                        ..... al Gange
che sempre la ricorda e la rimpiange
 e dai margini erompe per vederla.

Ma, nel passaggio, viene afferrata dai Giapponesi, che la spingono verso la Siberia, non per iscopo di conquista, ma, per il bene della umanità, per un fine di rigenerazione e d’amore.

Il giapponese in questo lavoro appare forse troppo glorificato; ma, dopo le sue vittorie terrestri e navali, la sua tattica ed il suo eroismo, non può che essere così: noi abbiamo bisogno di cose grandi, anche se tristi come la guerra, poichè esse scuotono l’animo nostro e l’organismo dalla solita vita, che par chiusa dentro un’urna fredda di marmo.

E il lavoro mio, non per vanto, intendiamoci, scosse i pittori; così che, uno d’essi, levandosi, avendo per soverchia irrequietezza e bellicosità, perduto l’equilibrio, andò proprio a sedersi nel paiolo, dove, un momento prima, era stata messa l’acqua freddissima di Felleria.

“Non m’era ricordato di bagnarla in pezza!” commentò il pittore milanese che poco prima s’era aggiustato i calzoni.