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Io non mi feci pregare e declamai.

Si era quasi nell’oscurità; fuori si ripercoteva l’eco della valanga: ricordo che non mi sono mai commosso del mio lavoro come allora, mi parve perfino che, in alcuni punti, mi diventassero sensibili i capelli e che i due pittori ascoltassero rattenendo il respiro, come chi riceve un’impressione forte di commozione e d’orrore.

Sono tre quadri: nel primo si svolge la leggenda formatasi sulla fine misera di Makaroff. Egli, balzando con un’onda sulla riva, rimane a guardare l’accampamento russo ed a piangere sulla sorte dei fratelli, e solo la sua bandiera lo scorge, lo sente: il mattino dopo, siamo nel secondo quadro, essa prega i suoi figli di non partire per la guerra, poichè l’ammiraglio ha predetto loro disgrazia.

Ma i figli s’allontanano e allora la bandiera, nel sole, ripensa le sue vittorie e spera in una vittoria più grande: ma sgominata, in fuga, ecco apparire lontano l’orda dei combattenti cacciata innanzi dall’èmpito giapponese:

che piomba e romba, che dilania e va,
simile a mare che travolga il mondo:
simile ad un orribile, profondo
sconvolgimento delle prime età.

Poi, nell’ultimo quadro, l’ammiraglio piange in fondo al mare, e uno dei morti russi, trascinato dal suo cavallo, gli discende a lato: e passano, l’una dopo l’altra nell’onda, le acque dei fiumi della Siberia e della Russia, che narrano la miseria, l’abbiezione, la schiavitù dei fratelli; e,