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“T’ho detto di no!”
“E dimmi, dove hai messo le posate?”
“Ma che posate, parla di cucchiai, ne abbiamo due soli; non si può mangiare tutt’e tre in una volta!” e si riabbassò di nuovo agucchiando con impaccio e con ostinazione; dovuti, il primo alla piccola onda di luce ed all’imperizia, la seconda ad una ragionevole necessità.
Diamine! due cucchiai, non hanno mai servito, contemporaneamente, tre bocche!...
Dopo d’avere inutilmente insistito, perchè mangiasse prima lui, afferrai la scodella ampia e nera, me la assicurai fra le ginocchia, e senza più complimenti e senza schizzinosità, divorai la mia parte; Omio fece lo stesso: dopo di noi, aggiustati in modo indicibile i calzoni e indossatili, divorò tutta la sua porzione il mio giovane amico, al quale, senza pulirli, cedetti scodella e cucchiaio...
Fuori si sentì il rombo del ghiacciaio che si sfasciava.
“Porto Arturo!” gridò il bergamasco ridendo.
“Già!”
E, da una parola all’altra, poichè la cena era terminata, si venne a parlare della guerra, da poco finita laggiù nell’Estremo Oriente, e del sangue sparso, degli eroi caduti forse inutilmente, della Russia paragonata da qualcuno di noi ad un epilettico, nel momento più terribile delle sue convulsioni...
“Toh!”, interruppe il pittore milanese: “ci dovresti declamare quel tuo poemetto sulla guerra.”