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d’assistere ad una farsa di nuovo genere, della quale gli atti, le parole, la superficialità erano in grado sommo ridicolo; il concetto informatore, l’essenza invece, piena di serietà, quasi quasi di pianto.
L’uno aveva finito di togliersi i calzoni, mentre l’altro, disposta la polenta nelle scodelle, e versatovi il latte, frugava fra gli oggetti per terra, cercando i cucchiai.
“Dove li hai messi stamattina?” chiese al compagno, tutto intento a tagliare un gran pezzo di fustagno color oliva, da appiccicare in quel tal luogo dei calzoni, colorati invece di giallo.
“Ma, cercali”, rispose il pittore senza alzare gli occhi dal lavoro, “non devono essere lontani!”
Mi ricordai di averne visto uno fuori della baita, dimenticato fra i sassi, e uscii tirandomi presso la gola il bavero della giacca; lo ritrovai facilmente, ma sopra e sotto e perfino sulla parete inferiore del manico, sentii al tatto una superficie ruvida e granellosa: era la pasta, la polenta, il latte raggrumati dall’azione dell’aria e del sole.
Per ripulirlo un po’ fui costretto a ricorrere ad una raschiatura, e mi feci prestare un coltello, ma anche questa posata era in condizioni inservibili.
Mentre io lavorava per conto mio, i due pittori parlavano piuttosto animatamente e c’era un po’ d’acredine nella discussione.
“Fa piacere, lascia lì, mangia!”