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ch’essa era costrutta, vi si insediavano diventando i veri, assoluti padroni della montagna e della valle per un buon tratto all’intorno.

Tutte le mattine, incaricati speciali, in seguito alle ordinazioni ricevute, portavano latte, uova, carne; cucinavano, rimettevano ordine nel minuscolo appartamento, mentre il fortunato pittore spiava e studiava sul vero gli effetti, i colori, le forme; e, con meccanica più o meno felice, li riproduceva nei quadri. Questo per la verità.

Ma se i due giovani, dei quali ho abbastanza a lungo parlato, non si faranno strada attraverso l’aurea mediocrità, se, stanchi di privazioni e di lotte, butteranno alle ortiche pennelli e colori, rientrando nella vita pratica, che ha tanto limitati confini e povertà di ideali e di luci; io pure riguardandoli come caduti, non potrò a meno di circondarli di grande rispetto, d’essere commosso dinnanzi la loro disgrazia come ci si commove dinanzi ad un naufrago, che ha rotto l’onda disperatamente, senza riuscire a toccare la riva.

Ma qui non si tratta di caduti o di naufraghi, si tratta di giovani pieni di vitalità e d’energia, esuberanti di robustezza e fidenti nel proprio avvenire. La prova della loro volontà e della loro vocazione è il ritiro e il lavoro che si sono imposti da mesi; i loro quadri, se avranno un valore relativo per l’arte, ne acquisteranno uno immenso per la vita; poichè il lavoro ha sempre nobilitato l’uomo e lo ha sempre spinto al bene, al bello, alla perfettibilità.