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a Milano, ha fatto sacrificio di tutti i suoi comodi, ha incontrato opposizioni e disagi, pur di seguire quell’arte nobilissima che, prima e sola, gli aveva dato fiamme nel cuore.

Bisogna perdonare, anzi bisogna render loro giustizia.

Lontani sei e forse più ore di cammino da Tornadri, costretti a provvedersi di legna, ad accendere il fuoco (e non è poca difficoltà e perdita di tempo), a cucinarsi in qualche modo le vivande, a lavarsi e rattopparsi i vestiti, a portar erba per il letto, a riattare la baita che spesso si sganghera sotto l’urto di una bufera; e, più che tutto, costretti a sacrificare le ore migliori della giornata allo studio degli effetti luminosi e dei quadri incominciati, non possono certo perdersi a trovare od a fissare un posto per ogni cosa, come farebbe la miglior massaia del mondo.

Non c’è quindi da maravigliarsi se... nello studio artistico dei miei giovani amici regna il guazzabuglio descritto: qualche cosa di simile ho visto in parecchi studii, a Milano, dove speravo proprio di trovare ordine e misura: su questo anzi ho fatto una strana osservazione. Ho notato come tutto il miscuglio eterogeneo d’oggetti, che circonda quasi sempre un artista, sia lo specchio dei pensieri, dei desideri, degli affetti, delle visioni che si accapigliano nella sua testa, che fremono e si sviluppano e si sciolgono nella sua anima, intenta sempre a cogliere quel che c’è di pittorico nelle cose.

Perciò, credo di non essere lontano dalla ve-