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XXVIII.
E dunque addio!
Eppure m’indugio nella camera ospitale, esco attraverso il salone, l’andito ampio e cieco che dà sulle scale, discendo, spalanco un battente della grande porta e prego il Fiach d’aspettare un poco.
Poi ritorno nell’atrio, vado giù in cantina e di li passo in giardino: voglio cogliere le ultime rose, qualche ginestra per portare con me nella partenza, oltre il ricordo, anche il profumo gentile della valle.
Ma qualcuno mi chiama: è il Fiach, impaziente; egli attende con il cavallo che raspa, più impaziente di lui; è il vecchio Sass bianco e buono, barbogio ed arguto, che mi vuol offrire il bicchiere d’addio, è l’amico che s’affaccia ad una finestra col viso ambiguo di chi ha rincrescimento e piacere.