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Dei contrabbandieri, sono cinque, nessuno risponde; tre si slanciano nella forra che cade loro a picco dinanzi, s’aggrappano agli arbusti, ai sassi, rotolano giù, graffiandosi le mani, il viso, i piedi; gli altri due invece si arrampicano sulla montagna che pende loro sul capo, scomparendo fra macigno e macigno senza però abbandonare la carica.

I finanzieri, urlando e bestemmiando, li inseguono, ma, impacciati dal fucile, dal sacco, dalla rivoltella, dall’alpenstok non possono continuare in condizioni favorevoli la caccia, anche perchè i contrabbandieri conoscono palmo a palmo la montagna, corrono come martore, balzano come camosci di greppo in greppo, sanno nascondersi in mille modi; poi, messa al sicuro la carica, per vie traverse, passano sotto il naso delle guardie con un risolino sulle labbra, cercando di scoprirne le intenzioni e i sospetti.

Il giovane parlava con calore, senza nessuna diffidenza, anche trovandosi dinanzi a me che vedeva per la prima volta in sua vita: quando lo lasciammo, per riprendere la strada momentaneamente interrotta, ci salutò con la mano che sanguinava.

La salita si era fatta non eccessivamente faticosa, ma continuava a girare e rigirare sul dosso della montagna, minacciando di rendersi interminabile.

Ci sedemmo a far colazione.

Bondiola e pane di segale raffermo, inaffiato col vinello di Valtellina portato nella botticella,