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Anche il canonico stette zitto un poco, poi, quasi intuito il nostro desiderio di sapere e di compiangere, raccontò, piano, commosso.

Non c’era nulla di nuovo nel suo racconto poichè tutte le catastrofi alpine si assomigliano, eppure, quando in poche parole tratteggiò la figura del Pin, la sua passione per la montagna e la sua fine in mezzo ai ghiacci che aveva tanto amati, noi ci sentimmo stringere il cuore.

Terminato il breve accenno nessuno ardi pronunciare parola: solo, dopo un lungo silenzio, don Luigi si alzò, si tolse la berretta e disse un requiem al quale noi tutti rispondemmo in piedi.

La guida piangeva.

Quando fu detto amen si rimise sulla testa il cappellaccio e tese la mano aperta verso di noi:

“Sentite,” gridò con voce più ruvida e più forte “il povero Pin, il vero re di tutte le nostre montagne, è morto; la montagna l’ha ucciso, è vero; ma se domani il mio angelo custode mi dicesse non andare, non andare, perchè oggi ci resti; io, capite, io...” ed ebbe nella voce un improvviso schianto che parve un ruggito “...io andrei! sì, sì. È perchè voi, non sapete, voi che parlate tanto! ma la montagna, o la montagna è bella, bella!...” e si strinse con la mano la gola per soffocar qualche cosa, ma i singhiozzi gli ruppero il petto gagliardo, e il re del Disgrazia con voce indimenticabile ripetè ancora: “È bella... è troppo bella!...”