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tenza da Torre, abbiamo raggiunta la capanna di Cornarossa, inalzata sur un sasso che ha il medesimo nome.

Da questa posizione si vede il grande ghiacciaio di Predarossa che dovrà essere percorso quasi totalmente da chi vuole tentare la salita del Digrazia.

Mi hanno poi detto, e deve essere stato lo Schenatti a raccontarmelo, che ora della capanna di Cornarossa non restano che le mura laterali e il tetto, perchè il vandalismo del contrabbandiere ha distrutto o rubato ogni cosa; perciò chi volesse cercare ricovero dovrà scendere sul ghiacciaio, attraversarlo e portarsi alla capanna Cecilia, donde troverà anche una strada meno malagevole per l’ascensione.

“E qui, poi che siamo arrivati al Rifugio, facciamo pausa e permettete ch’io m’abbeveri e riposi prima di narrare, schematicamente, l’ultima parte del viaggio.”

“Siamo a metà predica?”

“Raccomanda l’elemosina abbondante!”

“Soffiati il naso!”

Ma il canonico tracanna invece un gran sorso dal suo bricco valtellinese il quale, in mezzo agli altri calici raffiguranti montagne, può simboleggiare il Gruppo del Disgrazia: riaccende lo zigaro spento, guarda noi che abbiamo spiegata una carta geografica ed ha negli occhi l’espressione gaudiosa di un Sardanapalo impenitente.

Quando ripiglia il racconto, i pochi che chiac-