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poi si rimise la pipa fra le labbra carnose e continuò a fumare silenzioso e mastodontico, come se quel frastuono non lo riguardasse affatto.

Don Flaminio, rimasto in piedi in attesa delle parole di Schenatti, come l’ebbe sentite incrociò le braccia sul petto largo e dardeggiò uno sguardo sugli attoniti commensali, fermandosi per ultimo a saettar me e Piero, senza mutar posa; pieno di dignità e di legittimo orgoglio.

Pareva un antico imperatore romano della decadenza che, prima di salir sulla biga per presentarsi al pubblico trionfo, provasse gli atteggiamenti più nobili, studiasse i gesti più solenni e il folgorar dominatore degli occhi, per far più alto il clamor delle turbe e la propria vittoria.

“Puah! un fiore non fa primavera!” ebbi il coraggio di motteggiare in mezzo al silenzio sottentrato.

“Come?”

Poi il buon uomo, lasciando l’artificiosa e voluta maestosità, sedette, trincò, diè due o tre volute nell’aria già pregna di fumo, e:

“Dunque,” disse a incomincieremo come ha suggerito l’amico Radice.

“Era proprio una bella mattina, quando io, baldo e ferrato, non mai immaginando che un’escursione simile m’avrebbe dovuto fruttare a vent’anni di distanza una buona colazione, offerta con forzata cordialità, da miei ottimi amici era, ripeto, una bella mattina, quando io raggiunsi a Torre lo Schenatti e ci incamminammo entrambi per la valle del Torreggio seguendo

          G. Nolli. In Valmalenco — 19