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raccomandarsi al bastone ferrato e camminare adagio, respinti qualche volta dal vento freddo e impetuoso che soffia dalla gola. Costretti a soffermarci ogni tanto per bere l’acqua delle sorgenti, e per ripigliare le forze, si guarda d’intorno il paesaggio che non s’è per nulla modificato: soltanto aumentano gradatamente i pini e nell’aria si diffonde il profumo della resina che gemica dai tronchi.

E si continua ancora: dopo la salita c’è un bel tratto di strada piana, quindi si discende per giungere a Campo Franscia, piccola estensione di terreno non accidentato, alla cui destra sorge la caserma delle guardie di finanza. Ed è proprio in tal luogo, a dieci passi dalla caserma, che il pittore ferma un giovane montanaro, piuttosto piccolo ma solidissimo, e si fa raccontare le vicende della notte.

È un contrabbandiere: le notizie sono tutt’altro che buone. Raccconta che aveva già passato il confine con alcuni compagni, carichi come lui di tabacco, di cioccolata e di zucchero, e si trovava vicino a Campaccio, posizione difficile sulla montagna, quando si sentono improvvisamente, dinanzi e di dietro, due comandi gridati con voce sonora, e da una parte e dall’altra, uniche vie possibili al piede dell’uomo, ecco apparire nel chiaror della luna i berretti a liste gialle dei finanzieri, che col fucile alla mano irrompono sopra di essi:

“Ferma, ferma, lascia la bricolla!„ urlano i sopraggiunti.