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Dunque il cammino era stato inutile?

No!

La nube non s’era lasciata toccare, ma il poeta, a cavalier del varco, rivolgendosi alla forma pellegrina ed aerea aveva potuto prorompere con sincerità pari all’entusiasmo:


     Divino inganno, che vivendo amai
più della salda realtà vivente,
nube dei monti, nube dei nevai
sempre offerta allo sguardo eppur fuggente;
se ho durato per te nei nembi cupi,
se cercai come un figlio i focolari,
se ho potuto salir per nevi e rupi
               ai varchi aperti e chiari,

un mio scopo di fede ho anch’io raggiunto,
la mia parte di bene ho anch’io compita
e ne sia lode al fascino inconsunto
che tu m’offristi al sommo della vita.
Per te, santa straniera, oltre il mio mondo,
come in una promessa alba remota
perenne spaziò l’aereo sfondo,
                    la lontananza ignota.

Bello salir la montagna con simili strofi nell’anima, che fanno più larga e comprensiva la visione della vita e del paese!

Bello anche per chi s’arrampica, non per toccare il suo sogno, la sua nube; ma per ammirare e comprendere il grande sogno degli altri.

E fui io pure a cavalier del Muretto e vidi giù, dalla parte opposta, la scarpa dirupata, il grande nevaio di Pian Canino, la selva e poi dietro tutta l’Alta Engadina con i suoi laghi azzurri e palpi-