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Mangiai una parte delle mie provviste, scorsi due o tre numeri di un giornale socialista, unica biblioteca del luogo, poi, condotto in una stamberga attigua, mi buttai sul giaciglio preparato apposta per me.

Il frastuono del torrente e il pensiero d’essere così vicino ai confini d’Italia, che il giorno dopo avrei raggiunti e varcati, mi impedì di prendere sonno: stetti così sveglio gran tempo: infine gettai indietro la coperta, scesi, giunsi tasteggiando alla finestra e ne spalancai le imposte massiccie. C’era un bel chiaro di luna e una parte della vallata, quella visibile dal mio posto d’osservazione, biancheggiava bellissima. Volli uscire, per abbracciar collo sguardo tutto l’altopiano di Chiareggio sotto il placido incanto lunare, ed uscii infatti, soffermandomi in mezzo alla piazzetta deserta che dà sul torrente. Qui mi volsi a riguardar la catapecchia che m’ospitava; nel lume d’argento, essa, e le cinque o sei casupole del paese, con la chiesetta di Sant’Anna a sinistra, e una stalla a destra, dietro la quale spiccavano candidi i muri della caserma in costruzione, acquistavano un aspetto nuovo, poetico; simile a quello delle casette che tutti abbiamo veduto biancheggiare nei presepii, sotto la coda di una cometa raggiante.

Io stetti a riguardare, preso da un senso d’ammirazione sempre più viva: ad est la valle appariva chiusa dal Monte Nero che la luna faceva azzurrognolo, alla sua sinistra, biancastro e crestoso, si profilava il Sasso d’Entova, ed, a nord,