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XXVI.
Quando, arrivato a Chiareggio, entrai nella piccola ed unica osteria del paesucolo e, salita la scala tarlata e lurida, fui nella stanza che serve tanto agli avventori come alla famiglia dell’oste, mi venne incontro e mi sorrise, riconoscendomi, il vecchietto arzillo e secco che mi aveva già ricevuto un mese prima col maestro e Gervaso.
“Solo?” mi domandò nel suo dialetto romancio, maravigliandosi un poco.
“Solo!” risposi sedendo in un angolo, sur una panca, dinnanzi un tavolaccio; e salutai con la mano una bionda che allattava un bimbo grasso e sporco nell’angolo opposto.
“Vuol tornare, su, al lago, a pescare?”
“No, no: vo’ fare il passo, se il tempo si mantiene buono, discendere al Maloia e poi tornar súbito indietro.
“Portatemi da bere” dissi all’oste, “e fatemi preparar un letto”.