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sportata dalla furia dell’acqua, sia rotolata giù e del suo corpo non siasi trovata più traccia.
Alcuno assicura che ella, inconscia dal pericolo, volesse discendere per il sentiero a fianco delle cascate, guidando le capre; altri invece che, balzata nell’onda per togliervi un’agnella caduta, non potesse resistere all’irruenza del torrente; qualcuno crede a una morte volontaria dovuta ai begli occhi di un pastore infedele.
Sia come si vuole: se la leggenda parla di vittime umane, la storia di ogni giorno può ricordare le sue catastrofi, ed ognuno di quei massi, battuti dalle spume bianche, può dire il gemito dei ruinanti.1
Ed è questa forse l’impressione maggiore che a me ed all’amico mio ha lasciato Val Brutta; poichè il suo orrido aspetto, che il pianoro verde
- ↑ Triste è la postilla che aggiungo a questo capitolo.
L’amico mio, il mio fratello d’anima, Pier Ruggero Radice, pochi mesi dopo, per un’improvvisa ricaduta, si spegneva a Milano; e, in una delle ultime notti di sua vita, per un desiderio ansioso d’aria pura e di salute, mi ripeteva frammentariamente, ansando, le impressioni ricevute da Valmalenco e quelle violenti che gli aveva lasciate Val Brutta.
Mentr’io sentiva la sua mano sudata rabbrividir per la febbre nella mia, tremare forse pel desiderio d’abbrancarsi alle rupi, sotto il sole e i venti, un parallelo tragico fra Val Brutta e la rovina della sua giovine esistenza mi si levò spietatamente nell’anima.
E allora, anche l’anima mia, anche le mie mani tremarono in un brivido angoscioso, anche le lagrime mi tremarono negli occhi e le rattenni a stento per non arrecargli dolore...