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viglioso, il piede del monte, rigurgita violentissima con úlulo impotente, s’incanala fremendo rotta e smania, prosegue con veemenza ancora, s’allarga... poi la sua foga cede, s’ammorza fiottando: qua e là ruotano gli ultimi gorghi minacciosi, quindi le onde mano mano si quetano finchè diventano increspature lievi e l’acqua, riacquistato il suo colore biancastro, va regolare e piana.

Tutto questo frastuono e questo candore fa contrasto col nero umido delle montagne che si avvallano improvvisamente ed echeggiano.

Come non si può commoversi, esaltarsi dinnanzi a simili orride bellezze?

Io mi domando dove mai ho visto un alveo di torrente più pauroso, più tormentato; e la mia immaginazione mi ricorda le rive slabbrate del fiume Dezzo, in Val di Scalve, là dove incomincia la via Mala Bergamasca; io rivedo certi scoscendimenti formati dalla corrosione delle acque nel Cadore, il pensiero mi rappresenta in tutto il loro pericoloso precipitare altre strade montanine già troppo lontane nei miei ricordi alpinistici: ma nessuna ha la caratteristica di questo letto del Lanterna, al cui fianco, or si or no, appare la traccia minima del sentiero che vorrebbe condurre alla valle, e sembra invece guidar giù diritti a fracassarci le ossa.

Si racconta infatti, e una croce messa sul sentiero della Lua, quasi in faccia alle cascate, resta a testimoniare la tradizione commovente, che un tempo, una giovinetta bulla e gentile, tra-