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Migliore certo il primo sentiero accennato; seguendolo si discende per breve tratto in mezzo ai detriti delle cave d’amianto, si procede attraverso un graziosissimo avvallamento erboso, qua e là rotto da macchie di pini e di larici, quindi si imbocca una quasi galleria formata da due speroni del monte che s’avvicinano rocciosi, cenati, zeppi di grandi lastre franate.

Quest’ultimo punto in modo speciale mi pare pittoresco; è il degno peristilio di Val Brutta.

Io e Radice, soffermatici alquanto in ammirazione dinnanzi l’effetto strano e piacente di quei grandi blocchi disordinati, per communicarci la nostra impressione e studiarla un poco, ci siamo persuasi della bellezza e dell’orrore del luogo, tanto da provar dispiacere per non aver portato con noi la macchina fotografica.

Proseguiamo, ed ecco, al termine dell’anfrattuosità scheggiata e nera che ci guida, aprirsi, scendendo ripida, Val Brutta.

E il piede si ferma, l’anima è sospesa.

A differenza dell’altre valli, questa ci si presenta quasi rotonda e, torno torno la sua periferia, come scattate improvvise e diritte nell’aria per una forza endogena potentissima, balzano e stanno le montagne alte, acute, verdastre: giù nel pianoro erboso e ondulato, di un verde che ha grande intensità di colore, corre biancastro il Lanterna; sulle rive è qualche catapecchia bassa e cupa.

Ciò che suggestiona al limitare della valle è il contrasto fra il piano e i monti che lo chiudono.