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vincia di siffatti abitanti: città industriosa per eccellenza, non aliena da una certa eleganza, per quanto semplice e modesta, essa siede nel cuore di questo vigneto che è la bassa Valtellina. A vederla dall’alto, salendo o ridiscendendo per Valmalenco — la incantevole valle del Mallero sulla cui foce Sondrio è costruita — essa offre il medesimo spettacolo di ricchezza e di forza non chiassosa nè appariscente che già le vigne avevano offerto al viaggiatore proveniente da Colico: le due grandi ali in cui la città appar divisa, si raccolgono intorno alla stazione come intorno al loro centro naturale di vita: i fabbricati non troppo grandi, ma puliti, chiari, netti, lieti ed arridenti quasi quando il sole li inonda di luce, sono costruiti coni una regolarità, specialmente nell’ala ovest che è la più recente, simile a quella — il parallelo mi ritorna insistente e spontaneo — con cui sono disposte le spalliere di viti sulle falde dei monti: ed intorno intorno le prime colline, che man mano s’inalzano per diventare i giganti ghiacciati della Bernina e del Disgrazia, chiudono alle spalle la città costituendo come un semicerchio verde di cui essa s’inghirlanda e si abbella.

È in questo semicerchio che si raccoglie quanto di più prelibato la vite valtellinese possa dare: Sassella, Grumello, Inferno sono nomi troppo noti perchè sia opportuno qui illustrarli: i vini che portano il nome di queste località sono tra i più squisiti, e non solo di Lombardia; e sono essi che costituiscono la ricchezza maggiore di Valtellina: l’esportazione che se ne fa, quasi completamente in Isvizzera, è grandissima: relativamente scarso invece è il consumo che ne vien fatto in Italia.

A Sondrio una cooperativa enologica ha, si può dire, il monopolio di questi vini: essa è che acquista i migliori