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nestrino, che corra unicamente entro un vigneto. Un vigneto, per altro, ben diverso da quelli alla cui ombra benefica noi amiamo ripararci nelle nostre campagne della bassa Lombardia, che crescono in alti pergolati, densi di pampini larghi, tra cui occhieggiano doviziosi i grappoli d’oro. Poca ombra dà la vite valtellinese: si avviticchia a basse spalliere regolari raccogliendosi in aggrovigliamenti fitti di cirri di pampini e di grappoli, gelosa quasi di sè e come desiderosa di occupar poco spazio. Viste un po’ da lungi, dal piano fino a mezza costa sul monte, dal finestrino del treno che corre rapido per la vallata, queste spalliere danno un’impressione strana: di ricchezza che ami piuttosto celarsi che espandersi, di forza racchiusa e consapevole che non voglia dare spettacolo di sè e che abborra da ogni esteriore appariscenza.

Tale è anche il carattere delle popolazioni di qui. Una agiatezza sobria e pacata, senza grandi pretese e senza ambizioni eccessive, è diffusa tra le genti che popolano la grande valle dell’Adda e le confluenti valli del settentrione e del mezzodì: molti dei signori che nei mesi estivi ed autunnali si recano quassù e si spargono fra i monti che ascendono verso l’Engadina e verso il Tirolo da una parte che separano dall’altra la Valtellina dalle valli della Bergamasca, possono invidiare la condizione economica di questi valligiani e di questi montanari. Ognuno sa il fatto suo e, senza che appaia, ha da parte il suo gruzzolo: hanno poche parole, ma ogni loro parola è salda come un greppo delle loro montagne: sono lenti, ma tenaci: sembra che la natura li abbia foggiati secondo un ritmo ampio e costante, per avere in essi o cooperatori sicari e validi o nemici degni della sua grandezza e della sua potenza.

Sondrio è ben degna di essere il capoluogo di una pro-