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che mi rincresceva proprio di non esserlo, aggiunsi, per avviare il discorso, che non portavo vessilli, ma che, per compiacere bellezze femminili, offertesi all’occhio mio come ninfe di lago, sarei stato capace di portare anche vessilli!
Nessun effetto; tentai con altro mezzo: mi rivolsi a Piero ed a voce alta, in modo che quelli, variamente disposti fuori dalla casetta, sentissero, gli chiesi:
“Come stai? meglio? peggio? avessimo portato qualcosa di forte nel sacco!”
Come sopra.
Allora sparai l’ultima cartuccia, mossi verso i padroni di casa, e, levandomi, con grazia cittadina, il berretto d’alpinista, domandai i nomi dei monti, dei luoghi e incominciai a prenderne appunto sul notes.
Speravo così d’avviare il discorso e d’arrivare a quelle benedette parole...
Una delle signorine, molto bella davvero, facendosi rossa rossa in viso, mi domandò se, io, proprio non fossi l’ingegnere, ed io — notando’ quasi stenograficamente, dinnanzi casa; al di là del lago, Crestone; destra, Motta; sinistra. Monte Nero; dietro, pini nascondenti Disgrazia; — io, fui costretto a rispondenderle:
“No, signorina, non sono proprio l’ingegnere, per quanto abbia misurato spesso le montagne, rovinandomi un poco.... proprio non lo sono, ed è peccato, perchè....”
Stavo per aggiungere, con ispiritosa sfronta-