Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 221 — |
Le montagne, fortunatamente, non rovinano, non accennano neppure a muoversi un poco; rovina invece la mia visione fantastica e si muove, con più accentuata misura, la croce che mi regge. Sono diventato un pendolo inverso e le oscillazioni sembrano matematicamente isocrone; anzi mi par d’essere trasformato in un metronomo di nuovo genere, e batto il tempo, e sono battuto dall’aria, che mi arriva alle natiche, con una pressione fra lo schiaffo e la carezza, come la mano arguta e desiderosa di un satiretto.
Ma, dei satiri voluttuosi è meglio non fidarsi; io do uno sguardo scrutatore alle ultime montagne verso ovest, che chiudono in parte la Val Bregaglie e l’Engadina superiore, mi raccolgo le falde svolazzanti della giacca, mi accarezzo e riscaldo, prima con una poi con l’altra mano, il treno posteriore intirizzito, e, discendo.
La mia guida studente ha già preparata la colazione al riparo dei venti, io le trovo un riparo migliore nello stomaco; poi ci mettiamo, serenamente, a discorrere sui più comuni fenomeni dei ghiacciai, sul loro muoversi, ritirarsi, discendere, sulla corrosione, gli spaccamenti, le fonti che producono; sulla fauna e sulla flora che ha vita in essi.
In modo speciale parliamo della flora che ci mette nell’anima il desiderio di cercare le stelle alpine.
Uno sforzo; si è in piedi: afferriamo di nuovo l’alpenstok, risaliamo per dare un addio ultimo alle cime maestose delle Alpi Retiche, che sem-