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Mi disse però che non mancava un’altra via facile, seguire cioè il lato destro, verso la Val di Togno, dove, per lo meno, non c’era pericolo di sdrucciolare in qualche crepaccio.
Preferii la strada del ghiacciaio, risovvenendomi il maraviglioso spettacolo che mi aveva offerto il Pizzo d’Argento, e la marcia incominciò súbito, per mezzo un bel piano verdeggiante, sul limite del quale, dopo mezzo chilometro di cammino, ci fermammo entrambi, col naso in su, a considerar la salita erta che pareva sfidarci.
Un attimo di riposo e attacchiamo con lena: per un’ora si ansa trafelati, con fuori un palmo di lingua, senza darci tregua, senza parlare, guardando la gran roccia che vogliamo raggiungere e dietro la quale abbiamo la certezza di trovare il ghiacciaio.
E su, su, in mezzo al terreno morenico; finalmente s’arriva alla roccia bizzarra e grande che vien chiamata Cornetto, a motivo della sua forma al di là di essa, ecco il ghiacciaio che attende il bacio del sole, e, in fondo, la punta bitorzoluta del Pizzo, che ha la croce e l’estremità, immersa nei primi raggi d’oro.
Spettacolo conosciuto certo, ma sempre grandioso e poetico, dinnanzi al quale ci soffermiamo rattenendo momentaneamente il respiro, coll’ansia di vedere, e col timore di perdere troppo presto la visione mirabile.
La cresta, adagio adagio, sembra salire adergendosi in un fascio sottilmente nebbioso di luce, il sole entra per i crepacci, sfiora i cigli, i cul-