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in parte, i massi di ghiaccio iridescenti che innalzano le loro piccole creste come una scalinata e s’indorano.

Chi ricorda ancora l’orso?

I miei compagni: essi aprono prudenti la porta e spingono fuori lo sguardo; io cerco di muovermi, ci riesco, mi rizzo a sedere sul fieno, alzo, abbasso, muovo in tutti sensi le spalle, provo a stirare le braccia, le gambe: benissimo!

Allora via di colpo le coperte e in piedi.

Ho ancora qualche picchio alla testa, ma sono fresco come l’alba; cessata la paura e l’impressione ossessionante, è scomparsa anche la febbre e la malattia.

C’è un po’ di battibecco coi compagni, che finiscono per persuadersi della guarigione, e usciamo tutti, io dinnanzi, con la rivoltella carica in pugno, subito dopo il guardiaboschi, il custode e don Luigi; per ultimo, un poco discosto, il canonico.

Arriviamo così ad un dossetto nevoso, che rompe la discesa, a fianco del quale, con un’esclamazione di gioia e d’orgoglio, addito una massa nera, l’orso: scendo giù con la rivoltella spianata, e.... mi trovo dinnanzi ad una croce, mezzo sepolta nella neve, coperta in alto da un tettuccio per riparare la rozza scultura.

Arrivano i compagni, si fermano; ci guardiamo in faccia, cerchiamo le traccie dell’orso... non ci sono!

Giriamo di qua, di là; anche il canonico, diventato coraggioso, fa miracoli, spara un colpo del