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comandano di star zitto, quieto, poi accendono un gran fuoco: uno sta però sempre in vedetta presso la porta barricata.
Io mi agito, farfuglio qualcuna delle vicende passate, poi sono preso da uno spossamento indicibile e resto inerte, sudo, arrosso, ogni tanto do un guizzo e mi lamento. Eppure sono sveglio e capisco e vedo quello che dicono e che fanno i compagni; tutte le precauzioni che essi prendono. Ecco: il canonico Spini, in apparenza tranquillo, ha una febbre più forte della mia, ogni tanto si tormenta le coscie e si graffia; don Luigi invece, cosa che non gli accade mai, ha buttato via il cappello e appare con la testa lucida e nuda; sulla fronte ha due grandi rughe: anche il guardiaboschi ed il custode stringono le labbra, s’avvicinano alla porta, spiano, poi ritornano e si consigliano con gli altri. Decidono di passar la notte vegliando, e, all’alba, di seguir le traccie dell’orso lasciando lo Spini a curarmi: poi, ammazzata o fugata la bestia, qualcuno andrà a cercare aiuti alle baite di Musella, o in campo Franscia, alle guardie di Finanza, per trasportarmi con tutto il riguardo.
Lo Spini torna a levare dal suo sacco una bottiglietta e m’abbevera; io ho un gran caldo, soffoco.
E così passa la notte: per le fessure della porta vedo il cielo imbiancarsi, poi una tinta sfumata pallidissima di rosa; guardo una nube soffice, che si colora sugli orli e si divide in fiocchi rosei uscenti dalla mia visuale limitata, scorgo anche,