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gomitolato per rendermi quasi invisibile; così col volto e le spalle ficcate in una crepa, come un bimbo che, in sogno di fantasimi, con isferrar di catene, tuffa il viso contratto nel seno materno; così, sacrificato alla morte senza più speranza di vita, sento uno sparo e un barbaglio rosso, penetrando per la fessura ghiacciata, mi colpisce la vista.

Io scatto in piedi, gridando forte, agitando le mani, saltando come impazzito.

“Qui, curato... guardiaboschi, qui... qui... c’è l’orso... presto, presto!” e corro incontro ai compagni, agile come un capriolo, e salvo... proprio salvo! con qualche indolenzimento di schiena, qualche scalfittura alle mani e qualche bitorzolo in capo, ma salvo!

E parlo io, sempre, confondendomi, tremando anche, con gli occhi sbarrati, toccando i compagni sulle spalle, indicando loro il punto preciso...

“Era un orso sapete? e le montagne, vecchiacce, tutte sopra di me; che unghie!...”

I compagni mi calmano e si torna indietro, guardinghi: appena entrati barrichiamo la porta della capanna e, per l’occorrenza, teniam pronti i fucili: lo stesso canonico scova e si fa prestar dal custode un quasi trombone arrugginito, mentre io racconto e fremo tutto: “Cinque colpi: pam, pam; e tutto il ghiaccio avvampa: com’è bello... guarda... e l’orso? era nero: e le montagne? bianche: e il ghiacciaio? luceva!”

I compagni mi fanno adagiare sul fieno, mi coprono, mi danno a bere qualche cosa, mi rac-