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dell’ombre, erano quasi tutte nere: mi parevano tante buone vecchiette, dalle cuffie candide di trina e dagli abiti oscuri, intervenute ad un consiglio di famiglia e attente, quiete, perchè non volevano perdere una sillaba del fiume, accomodato nella grande poltrona della valle, il quale parlava, facendo, tratto tratto, delle pause per udire il responso delle vecchie. Discesi piano, con rocchio intento ai miei passi, obliando la strana bellezza del paesaggio sotto il mistico biancore della luna, poichè, per il momento, la poesia migliore era l’equilibrio stabile, così difficile da ottenere quando si è in moto.

Camminavo prudente da dieci minuti, quando un’ombra improvvisa mi si drizza dinnanzi: balzo per istinto indietro, sdrucciolo urlando e rotolo, affannosamente, cercando la rivoltella nel taschino posteriore dei calzoni, urto contro non so che cosa, sono in piedi e, gli occhi chiusi, i capelli irti, allungo un braccio, brancico, non afferro nulla e punto l’arma, fremendo.

“Gesù, aiutami! è un orso, un orso!!”

Il terrore mi irrigidisce le membra, mi soffoca la voce.

È un attimo, un attimo solo, fulmineo; e tutto, tutto penso, mentre l’ossa mi si contraggono e, pur con gli occhi chiusi, ho la percezione netta della luna che sembra ammiccare con un sogghigno delle montagne raccolte nelle trine bianche, che accennano a ridere forte, e sento, il fiume riprendere con émpeto di minaccia.

È un attimo, un attimo solo, fulmineo; e tutto,