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rapidissimo, ad una perfetta orizzontale e tenendolo rigido, saldo.

Un pensiero si comprende, si legge fra ruga e ruga della sua fronte: “Io cascherò, forse, in un crepaccio; ma questo sostegno batterà contro i due margini, i compagni correranno al tonfo, alle grida, e mi estrarranno rammollito, ma vivo.” Anche la vedretta è superata: si dà l’assalto al dosso roccioso e si giunge trafelati alla capanna, anzi alle capanne, poichè sono due.

La prima piccola, nera per il tempo, bassa, non misura più di quattro metri di lunghezza sopra due o tre di larghezza; la seconda invece, che le sorge allato, è grande due volte e forse più la piccoletta, e l’intonaco nuovo, da cui è rivestita, contrasta singolarmente con il color fosco della compagna.

Se la vecchia capanna potesse parlare, racconterebbe qualcosa delle tormente orrende che si sono scatenate dinnanzi e sopra di essa; se potesse ricostruirci qualcuna delle catastrofi alpine alle quali ha dovuto assistere, la sentiremmo gemere, disperarsi, ma poi narrare la voluttà bianca che la prende, quando la neve la seppellisce e l’abbraccia come un’amante desiosa; fors’anche saprebbe descrivere il tepore che la pervade quando il sole la batte!

Non sembri fittizia la vita ch’io dò alla capanna.

Tutti gli alpinisti, che, dopo ore di solitudini meravigliose, riescono in faccia ad opere umane abbandonate, hanno creduto ritrovare in esse l’anima di coloro che le avevano erette.