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lo sguardo precorre ansioso ancora e dubitante, ecco apparirci, sempre più indeterminato, il sentiero e, di sotto, ognor più sprofondarsi la valle ed a fianco, al di là di essa, ridere per mille crepacci neri il ghiacciaio immenso.

Avanti ancora, avanti sempre, o canonico! Non vedi forse passare dietro te, fra gli stessi pericoli, sulla stessa roccia scheggiata, fra le medesime punte e sulle medesime paurose profondità, il nostro curato don Luigi Parolini, che fuma sempre e chiacchiera sempre e sorride?

Avanti ancora, avanti sempre, o canonico! È bello, è grande sfidare la natura selvaggia e domarla: io, vedi non ho più paura; il pericolo ora m’esalta; cammino in mezzo a queste insidie, passo fra gli agguati della montagna nemica sereno e forte; non ho in bocca la pipa come il curato, ma non importa, ne assumo il tranquillo coraggio le proseguo.

Ecco perchè non mi piego, non mi inginocchio, non istriscio carpone, quando passiamo per una esile ardesia, posticcia sopra una fenditura enorme le cui labbra, per un capriccio pericolosissimo del caso, si uniscono poco sopra il ponticello e si protendono in grugno colossale, massiccio, che ti obbliga, nel passaggio, a bilanciarti più che mezzo nell’aria, e sotto c’è proprio il vuoto, e di lì la caduta deve essere vertiginosa, la morte fulminea!

Ecco perchè non tremo quando su, in cima alla cresta, che s’inabissa a picco, manca d’improvviso la strada, e tu devi arrampicarti, mettendo