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Ma la catena, abbassatasi per il valico del fiume, si rileva subito, anzi sembra balzare per reazione impetuosa, tutta fremente di pini, scapigliata come la testa d’un lottatore che s’azzuffi e, soggiogato, tenti rizzarsi e riesca.

È questa l’Alpe di Campolungo, seguita dall’Alpe Campaccio, che, dalla mia sinistra, continuando, viene a torreggiarmi dinnanzi e passa alla mia destra facendosi meno selvaggia e integrandosi col monte di Scerscen.

Al di là delle baite, sempre alla mia destra, sale, con certe gobbe da dromedario, Musella, e verdeggia quasi fino alla bocchetta delle Forbici; poichè Musella è uno sperone teneramente prativo, che ha la base nella simpatica pianura di Campaccio e connette lo Scerscen colle prime montagne del gruppo Felleria, che mi sta dietro le spalle.

Questo è il contorno di creste e di pendii, ripidi o dolci, che incatena torno torno la pianura di Campaccio; basterà aggiungere che, dove la Scalata e Campolungo discendono, permettendo al fiume il passaggio, appare una valle, chiusa in fondo in fondo da una catena azzurrina in cui domina il Pizzo Serra. Non è però la sola catena visibile, dinnanzi ad essa ce ne sono altre più basse e fra l’ultima, azzurrina, e le predette, s’adagia la Val d’Antognasca, o di Togno, bellissima fra le più belle d’Italia.

Prese le poche note importanti, fatti gli ultimi preparativi, rifornito il sacco di cibarie, esaminata la botticella di vino e salutata la buona