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di vimini, sono cantiche alate; il vino, per detta del canonico che lo tracanna gorgogliando, è un paradiso.

Ci raccogliamo tutti intorno al grande fuoco acceso nella bella baita del Serafin e, mentre, beatamente si fuma e ci si crogiola alla vampa, ascoltiamo, attenti, quanto i montisti ci vengono raccontando della loro vita, delle loro fatiche, delle loro bestie, dei caci, dei forastieri che hanno, pernottato sul monte e sono ritornati sani e spellati, per il freddo dei ghiacci e il caldo del sole, di quelli invece che furono riportati a braccia; e qualche cosa si muove, trema dentro di noi, non è vero canonico Spini?

Ma su coraggio, domattina, dopo aver dormito saporitamente come altrettanti principi di Condé, ci lancieremo all’assalto, gagliardi; toccheremo la capanna, ci avventeremo anche più su, verso la Bernina ghiacciata e colossale.

Ma su, coraggio, non bisogna tremare, perchè tutte le energie nostre si rinnovino, perchè noi possiamo comprendere tutto il fascino dell’avvenire che ci aspetta, perchè la sfinge che simboleggia la nostra vita ci sveli mille dolcezze, ci dia mille baci, ci avviluppi dentro mille speranze, bisogna, o canonico Spini, bisogna aver guardata in faccia la morte.