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di essa minacciosa, e tal’altra si snoda in alto, come per respirare aria più leggera e pura e per dominare il paesaggio.

Il quale è bello davvero!

Circondano il Dosso delle Vette ondulazioni erbose, dossetti, pianori, colline, cime impervie occupate ancora in parte dalla neve, e l’occhio nostro, girando ammirato, scorge in fondo, torreggiante nel cobalto nitido del cielo, il Pizzo Scalino, che, innondato di sole, sembra diventare incorporeo, trasparente, come se una parte della sua roccia sia diventata nebbiolina per ismussare un poco l’asperità del suo cuneo selvaggio: sotto vediamo Acquanera, rivestita di verde, che allunga la fila delle sue baite e si ricopre di piante; allato il passo del Canciano nevoso; più discosto l’Alpe Musella, poi Campacelo, Scerscen e Palù di Caspoggio.

Ma i nomi suonano aridi: bisogna venire quassù, perchè il godimento sia effettivo; quassù, dove alle maraviglie della montagna, non mai a sufficienza osservate, si unisce la maraviglia grande del cielo.

Io, dinnanzi a questa distesa azzurra, che corona l’alpe sassosa, e fa spiccare i ghiacci e le nevi, provo come una sensazione sottile di estasi, e l’anima mia s’allarga, s’eleva; pare anche a me di diventare incorporeo; mi distacco da ogni cosa terrena, capisco allora tutta la verità, la poesia della divina trasfigurazione di Raffaello; e mi pare che dentro l’anima si formi e fluisca una sorgiva d’amore, di gioia, ma semplice, per