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prima, aveva dedicato ed inchiodato sulla porta un sonetto dal titolo: Grassa Cecilia.

Gli amici miei in gazzarra lo vogliono sentire ed io lo recito loro, con il gesto apposito e l’enfasi necessaria:


“Se voi siete stecchetti, o passanti,
qui davanti la casta dimora
rimanete, con timpani e canti,
tutti quanti, o passanti, lung’ora;

e pregate, con urla, con pianti,
o stecchetti, finchè venga fuora
e rimpolpi vostr’ossa crocchianti
una ben corpulenta signora!

Giù con ambo le mani e i ginocchi,
che nessuno la guardi e la tocchi;
ch’ella tutta la polpa vi dia

che le cresce davanti e di dria!
Vedi? Pure il mio corpo s’umilia,
o, rimpolpami, grassa Cecilia!”


E si ride, si ride, e si uniscono a noi, forse perchè il riso è attaccaticcio, i montisti che ci hanno ceduta parte della baita, e il cane, anche quello forse per compagnia, abbaia, scodinzola e su in cielo romba il tuono.

Si cerca riposo nella baita, si fa una fiammata, poi ci si butta sul fieno, ricoprendoci alla meglio, e si aspetta il sonno. Ma il sonno non viene, vengono invece fra gli interstizii e mi spruzzano