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L’abbiamo girato, cercando di avvicinarci all’onda per buttar la filagna, ma non siamo riusciti ad altro che a stancar le braccia e le gambe in una ginnastica spesso pericolosa, perchè, se in alcuni punti il piede fallisse, addio! un capitombolo, che può variare da dieci a cento metri, e... dritti nel lago.

Ho cercato di indovinarne la profondità; mi è riuscito impossibile: ho gettato dei sassi e li ho visti discendere, adagio adagio, e li ho seguiti con l’occhio, finchè non son diventati ombre e non si sono confusi nel ceruleo dell’acqua.

I miei compagni, che dapprima parlavano a soffi per non disturbare i pesci, terminato il giro del lago senza averne infilato uno solo, si guardavano e mi guardavano con certe faccie avvilite, in pelle in pelle alle quali c’era un grosso dispetto, ed io, dimenticata per l’ultima ginnastica la nostalgia che mi pungeva, ricambiava le loro occhiate con certe altre che volevano essere ironiche, anche perchè accompagnate da un sorrisetto maligno.

Ma un frizzo, una barzelletta dissipano subito il dispetto, e si ridiscende ridendo alle baite, dove polenta e latte servono da misera cena; ma essa è condita da tanto buon umore e le risa sono così cordiali e schiette e lunghe, che io non so come, quando, e se ne potrò schiattar d’altrettali.

Fa le spese della conversazione una certa signora Cecilia, amica comune, mattacchiona simpatica, botte semovente, che dà poi certo vino tutto frizzi e punture, alla quale, pochi giorni