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arrivò al sentiero che, da una parte, conduce ai Giamellini, e, dalla parte opposta, guida al Grand-Hôtel.
La mia gentilissima Beatrice mosse verso l’albergo ed io le tenni dietro.
“Ma dov’è quest’anima?”
“Un po’ di pazienza!”
Apparve fra i larici, sopra uno spiazzo libero, il grande albergo.
“Ci aspetteranno, su presto,” disse la piccola guida che mi precedeva.
M’ero dimenticato dei compagni e quel richiamo improvviso mi fece arrossire.
“Guarda,” continuava intanto il bianco folletto che mi trotterellava dinnanzi, “guarda! non è bello?” e mi additava l’edificio, tutto cinto di alberi e coronato di monti.
“Come si presenta bene da questa parte, col tetto così acuminato, ecco, ecco, io ora vedo solo l’angolo; pare uno chalet svizzero: il sole, che si rifrange nelle vetriate, gli dà scintillii d’oro e fiamme; non vedi come è bello?” e si fermò battendo palma a palma e sorridendo con ingenua maraviglia.
“Quando saremo arrivati ti condurrò a visitarlo, vedrai!”
Si raggiunse la Piazza, e, camminandole a lato, io le richiesi ancora: “Ma, dov’è questa benedett’anima che andiam cercando?”
“Stai zitto, tu, curioso!”
I compagni e la mamma della signorina ci vennero incontro, uscendo dal vestibolo, e s’in-