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“Ti pare?” risposi subito, rasserenando la fronte che il suo abbandono repentino e il sogno graziosissimo avevano fatta rugosa; “no, no, non sarei capace, specialmente con te!...”
“Guai se me lo tenessi!” scattò Nini, rizzando la testa e sollevando rapida un braccio verso di me, con il piccolo pugno stretto e l’indice teso, “guai!”.
Io sorrisi, sorrise anch’ella.
“Che castigo mi daresti se ti tenessi il broncio?!”
“Ah, ridi anche!... senti, io...” e mi si avvicinò d’un passo, leggera, sollevando con eleganza la gonna, che i ciuffi d’erba avrebbero rattenuta e guardandomi negli occhi con le sue pupille che parevano smeraldi chiari e luminosi: “io non ti farei ammirare e non ti commenterei, dalla sua sommità al suo profondo, l’anima della valle!” e mi guardò, balenando dall’iridi azzurre un raggio d’arguzia e un po’ di mistero.
Per un attimo la interrogai collo sguardo, quindi, per non essere meno birichino di lei, mi sporsi alquanto e le modulai con la mellifluità di un flauto:
“L’anima della valle sei tu. Nini; tu, apparita come una potaméiade lungo sponde fiorite, o come una chárite stellante su dalle acque del Mallero; tu, che sembri una naiade, una ninfa, una driade, un....”
Il ventaglietto di trina, che la fanciulla, con molle lentezza, ondeggiava dinanzi il viso, battè contro la mia bocca e spezzò la mia dizione com-