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che ha allentato i nodi della borsa, e che, perlomeno, a quelque chose malheur est bon, poichè permette ai signori di beneficare, di rendersi utili e cari”.

Disse così Ninì, deliziosa specialmente quando parlava in francese, ma io le risposi che non si trattava di elemosina offensiva: “ci vuol altro! capisci? bisogna levar gli operai da quella fossa, studiare e trovare un mezzo (forse ci sarà già, ma, nè io nè i lavoratori di lavaggi lo conosciamo) perchè tutta quella polvere sottile non entri nel loro stomaco, a formare come una crosta di pietra; bisogna escogitare una posizione più felice per il lavoro che sono costretti a fare, talvolta coi piedi nel fango, perchè il terreno è friabile, poroso e l’acqua del canale filtra nella fossa: anche sarebbe necessaria più ventilazione, più luce; giacchè, se una metà della tomba è la buca che tu conosci, l’altra metà si può considerare formata dalla catapecchia che ne è come il coperchio”.

“Sì, vero, verissimo, hai tutte le ragioni” interruppe Ninì guardandomi negli occhi e accettando l’aiuto della mano che le offersi in un passo difficile.

“E forse ancora migliore,” continuai animato dalla sua approvazione, “sarebbe lo strapparli a questo mestiere inutile, offrendo loro altri mezzi per guadagnarsi la vita: ma qui nella valle c’è una ricchezza da sfruttare, l’acqua; su stabilimenti, avanti con l’elettricità...” e le porsi di| nuovo la mano, perchè il sentiero si faceva stretto e tortuoso.