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toccandosi il petto e liberandosi, col dorso della mano, le ciglia e gli occhi dalla polvere che vi si era posata.
Non gli risposi, perchè non avrei saputo che dire: quell’uomo, robusto ancora, che si era rizzato nella sua buca, mostrandomi orgoglioso il suo lavoro e il suo dolore; quell’uomo, livido per la polvere verdastra, mi fece l’effetto di un risuscitato, che, rotta improvvisamente la pietra funeraria, si fosse tolto a stento dal suo ultimo letto per ammonirmi, ed anche per offrire a me, giovane pellegrino della vita, in quel suo vaso di pietra, tutti i suoi sudori, le sue fatiche, le sue lacrime, perchè le facessi conoscere e perlomeno i suoi figli potessero attingere una vita più feconda e molto meno sudata.
Si uscì e discendemmo; la discussione si accese, ma senza nessuna controversia: era forse la prima volta che ci si trovava tutti d’accordo.
E si parlò della diversità di condizioni fra l’operaio che avevamo visto poco prima al lavoro e quello invece della città, in particolare di Milano.
Le differenze sono innumerevoli; non le noto per non tediare inutilmente; ma, davvero, se c’è qualcuno che deve far comprendere la sua triste condizione, che deve gridare ai quattro venti tutte le sue necessità, oserei quasi dire che deve insorgere per conquistarsi un posto migliore nella vita, o perlomeno una retribuzione più equa e più umana, è certo il lavoratore che sciupa la sua esistenza fra la polvere dei laveggi.