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grandezza, parlerò delle meraviglie godute ed intraviste.

Valmalenco, io voglio farti conoscere farti amare come io ti conosco e ti amo! La verdeggiante asperità delle roccie, la bianchezza delle tue nevi, l’orrore di certe tue coste precipitanti, l’immensità dei tuoi panorami, che hanno esercitato una fascino grande sopra di me, che m’hanno aperta l’anima alla comprensione vera del bello, purificandola con la neve delle cime, fortificandola per l’asprezza delle rocce, meritano un ricordo, una lode.

Valmalenco, io, come so e come posso, ti ricordo, ti lodo e ti offro queste reminiscenze, troppo pallide, ma che ti saranno tanto care. Le offro pure a chi mi è stato compagno di escursioni e di riposi; a chi mi fu utile di consiglio e di aiuto; a chi mi ospitò e si commosse per le mie parole che volevano dire la bontà, la bellezza, la forza della sua terra natale: offro queste pallide reminiscenze a chi divise con me il suo pane di segale, la sua polenta nera e bevve il vino nell’anfora rustica degli avi, dopo che io aveva già sorseggiato; a chi mi tenne come amico e mi raccontò le sue pene, dinnanzi il capitello della Vergine che guardava; a chi rise e giocò nelle sere a briscola con me intorno alla tavola zoppa; a chi nelle notti, bianche di luna, unì la sua voce alla mia e la canzonetta popolare dilagò per l’aria serena; a chi seppe ispirarmi sentimenti forti e gentili; a tutti gli abitanti di Valmalenco, sparsi sui monti, ad Acquanera, a Felleria, allo Scerscen,