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Il buon uomo saltò fuor dalla fossa, uscì dalla baita per cercare un pezzo di pietra, che a colpi di piccone era già stato regolato in modo da presentare quasi la forma d’un uovo, troncato e liscio alle due estremità; quindi, rientrato, attizzò il fuoco che rosseggiava in un angolo, scaldò del catrame e con esso unì saldamente una delle due parti liscie con un cuneo di legno tagliato però sulla cima.

“È la prima funzione,” disse, appoggiando alla parete il lavoro compiuto, “per fare questo laveggio bisogna attender che asciughi.”

“E ci vuol molto?”

“Tre o quattr’ore al massimo!”

“Allora voi...”

“Io ne taglierò un altro già preparato.”

Cercò e riordinò gli strumenti, tolse da un angolo un blocco di pietra verde col cuneo, ne osservò la saldatura e si rimise nella fossa, mentre noi ci allineammo al suo fianco, in modo da non lasciarlo nell’ombra.

Dinnanzi a lui, che si era seduto sul margine, avendo i piedi nel vano, si allungava un palo robusto che, assottigliatosi ad una scanalatura del margine opposto dove girava su un perno, tornava ad ingrossarsi, per restringersi ancora e passare, da parte a parte, la parete della baita.

Al di là l’operaio ci disse che il palo era conficcato al centro di una piccola ruota di molino, nelle cui spatole giocava l’acqua d’un aereo canale. L’imboccatura di esso batteva proprio contro una ramola e l’onda, uscendo, la investiva e