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altrimenti avrei perduta la corsa: e cammina, cammina, va, costeggiando sempre il Mallero senza curarmi delle osterie disseminate lungo la strada, passando nei radi paesi come un candido fantasma seguito dagli sguardi attoniti dei montanari, temendo sempre di non arrivare per pochi minuti alla corsa; va, con il respiro mozzo, buttando, tratto tratto, la bisaccia dietro le spalle perchè m’ingombrava battendo sul fianco; va, con mille pensieri di rabbia contro la diligenza che per la seconda volta m’era passata dinanzi fulminea; va, con il pensiero e con il desiderio prima ancora che con tutto il resto del corpo... finalmente arrivai dove la strada discende a biscia e vidi sotto di me, non riprodotta dalla fata Morgana, ma vera e gentilissima, la cittadina di Sondrio, su cui domina, tetro ancora e spavaldo, il castello di pietra.
Avanti, avanti; non c’era tempo da perdere.
Mi precipitai giù per la strada, entrai nella città, e mossi veloce alla stazione. Sulla porta un gran pezzo d’uomo, circondato da un crocchio, gestiva battendo spesso la mano sur una carta gialla, che pareva avesse, per lui, un’importanza grandissima.
Ma, a mezzo il discorso, si ferma, taglia, come un nuotatore, il crocchio che lo serra, e mi balza incontro, chiedendomi a bruciapelo:
“ Lei è... ”
Il mio nome, detto dalla mia e dalla sua bocca contemporaneamente, suscita d’intorno le più strane esclamazioni. Io mi metto in guardia istintivamente.