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suo mulino e le osterie fresche e pulite come piccoli alberghi.
Un poco prima che la toccassi, mi raggiunse la diligenza e si alzò al mio indirizzo un coro di lodi e tutte le mani si sporsero, per essere strette o per salutare: non c’era più nessun’occhiata beffarda, la mia marcia forzata li aveva di colpo conquistati ed io, in quel momento, assurgevo all’altezza di celebrato podista.
E la corriera passò; ed io (quanta falsità nelle cose e nel mondo) strinsi dietro quella le pugna, minacciando quasi, ma, più che altro, invidiando coloro che mi avevano un attimo prima calorosamente applaudito.
E intanto continuavo a camminare; impiegai forse quarantacinque minuti da Chiesa a Torre; e a Prato ebbi il piacere grandissimo di ritrovare la posta, che, come al solito, era stata fermata, dinnanzi l’osteria.
Fui quasi stretto d’assedio:
“Un bicchiere di vino?”
“Di birra?”
“Ma su, beva signor... signor...?”
Non si sapeva il mio nome; io mi liberai, ringraziando, senza declinarlo, e continuai la mia strada, sempre col medesimo passo, che aveva meravigliato i viaggiatori, e che io batteva invece con facilità e con energia, come se, dal cittadino smorto e quasi sfasciato, fosse uscito, nuovo bruco dal bozzolo, il montanaro forte, agile, instancabile.
E, così continuando, attraversai il Mallero sopra